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La rivista affronta tematiche legate alle possibili patologie cardiologiche degli sportivi e alle loro conseguenze in rapporto alla attività sportiva.
Su questi temi vengono pubblicati editoriali, lavori originali, sintesi di lavori internazionali, casi clinici.
Giornale di Cardiologia dello Sport
Vol. 11, n.1-2
Gennaio/Dicembre 2014
SELEZIONE DI ARTICOLI
Giornale di
Cardiologia dello Sport
Vol. 11, n.1-2
Gennaio/Dicembre 2014
Editoriale.
Certificato di idoneita’ allo sport non agonistico. Le buone intenzioni della politica ma, come sempre , la solita confusione.
Pietro Delise
In agosto 2014 il Ministero della Salute ha pubblicato un
decreto legge sulla idoneita’ allo sport non agonistico.
Voglio essere ottimista nel pensare che lo Stato, prendendo
atto dei buoni risultati della legge
del 1982 che e’ servita a proteggere gli sportivi agonisti dai rischi
potenziali dello sport (compresa la morte improvvisa) abbia voluto estendere questo ombrello protettivo anche a chi fa
sport a livello non agonistico.
Al di la’ delle buone intenzioni il risultato e’ stato
deludente perche’ ha scatenato il caos.
Il decreto e’ scritto in uno stile
misto burocratese/politichese, con allegati incompleti e frasi ambigue, per cui alla fine ci si capisce poco o
nulla.
Medici di tutte le estrazioni (medici dello sport, medici di
famiglia, pediatri ecc. ), tutti coinvolti in quanto potenziali
prescrittori, sono insorti scrivendo
critiche feroci nei mass-media. Nei congressi specialistici se ne sono sentite
di tutti i colori: ognuno ha letto il decreto a modo suo e spesso con ampie divergenze
tra gli uni e gli altri.
Lo sport non agonistico e’ stato confuso con quello
amatoriale o ricreativo cosi’ come con l’attivita’ di palestra. Mettendo in
crisi medici e potenziali sportivi, a molti dei quali e’ passata la voglia di
mettersi un paio di mutandoni e correre allegramente dietro a un pallone o
anche solo di fare un po’ di ginnastica.
Perche’ in Italia ci facciamo sempre riconoscere?
Il motivo, secondo la mia discutibilissima opinione
personale, e’ che in Italia i decisori politici hanno ormai l’abitudine di
legiferare su temi di cui capiscono poco o niente senza fare riferimento alle
organizzazioni specialistiche. Mentre negli Stati Uniti al governo non
passerebbe neanche per la testa di legiferare sulle malattie cardiovascolari
senza consultare l’American Heart Association o l’American College of
Cardiology, in Italia si fanno le leggi sulla tutela della salute nello sport
senza coinvolgere pesantemente le associazioni di categoria (es. FMSI, Sic Sport ecc.) ma avvalendosi
di consulenti medici scelti sulla base delle loro conoscenze personali.
Non penso che questa scelta sia fatta in buona fede. Penso
al contrario che sia dettata dalla diffidenza verso le associazioni
scientifiche nel sospetto di conflitti di interesse inconfessabili. Meglio allora non ascoltarli e fare le cose
in autonomia!
Peccato che in Italia ci siano tanti medici seri e onesti le
cui conoscenze dovrebbero costituire una risorsa e non un peso da combattere. I
risultati sarebbero sicuramente migliori.
Poiche’ io sono costretto nella professione quotidiana a
fare i conti con la realta’ ed essendo
subissato da telefonate che mi chiedono chiarimenti su questo benedetto
decreto, ho pensato di fare il punto della situazione pubblicandolo
integralmente e facendo un commento finale.
Giornale di Cardiologia dello Sport
Vol. 11, n.1-2
Gennaio/Dicembre 2014
Interpretazione
e commento del decreto
Pietro Delise
Il
decreto di agosto 2014 del Ministero della Salute, malgrado la sua non
semplicissima leggibilita’, e’ pero’ chiaro.
Per
attivita’ sportive non agonistiche (in cui si richiede il ceritificato) si
intendono quelle organizzate dal CONI o dalle Societa’ affiliate alle
Federazioni Nazionali (che gia’ non rientrino nelle forme agonistiche), nonche’
quelle organizzate dagli Organi Scolastici
nell’ambito delle manifestazioni parascolastiche o dai Giochi sportivi
studenteschi (i cosiddetti Giochi della Gioventu’) nelle fasi precedenti quelle
nazionali. In pratica si tratta di manifestazioni sportive non competitive
organizzate dalle citate Federazioni e quelle organizzate dalle scuole.
Pertanto,
non rientrano in questo ambito le attivita’ sportive amatoriali, i tornei
organizzati autonomamente da gruppi non affiliati alle Federazioni (es. CRAL
aziendali, tornei canicolari ecc.) ne’ le attivita’ di palestra. Puo’ avvenire
che in queste ultime situazioni gli organizzatori richiedano per propria
iniziativa il certificato, ma cio’ non
e’ previsto dalla legge. Il motivo e’ evidente e cioe’ la volonta’ di declinare
ogni responsabilita’ legalmente perseguibile. Che tuttavia in realta’ non
esiste e che comunque prescinde dal certificato stesso.
La
certificazione per lo sport non agonistico puo’ essere rilasciata dal medico di
famiglia, dal pediatra o da medici iscritti alla Federazione Medico Sportiva
Italiana (FMSI). Curiosamente tra i certificatori non rientrano i cardiologi. E
questo e’ un aspetto non facile da capire, dato che i problemi piu’ gravi
legati allo sport sono notoriamente proprio quelli cardiologici.
La
certificazione deve basarsi anche su un elettrocardiogramma a riposo (da sforzo dopo i 65 anni). Nel bambino e
nell’adulto prima dei 60 anni basta un ecg “una tantum”, che deve essere invece
annuale dopo i 60 anni.
Anche
su questo punto esistono delle osservazioni che meritano di essere esternate.
Se lo scopo della certificazione e’ di proteggere i potenziali cardiopatici dai
rischi dello sport, nei soggetti con eta’ <35 anni c’e’ da chiedersi se un
ecg una tantum raggiunga lo scopo. Infatti, e’ ben noto che le cardiomiopatie a
rischio maggiore (cardiomiopatia
ipertrofica, cardiomiopatia aritmogena ecc.) non sono presenti alla nascita o
nella fanciullezza ed essendo per loro natura evolutive possono non dare alcun
segno fino a una certa eta’ (in genere fino ai 12-16 anni) per poi manifestarsi
piu’ o meno apertamente.
Il
controllo annuale negli ultrasessantenni appare al contrario razionale.
In
conclusione, sperando di aver fatto un po’ di chiarezza, le cose stanno cosi’.
Malgrado
il mio innato ottimismo, temo pero’ che la confusione continuera’.
Editoriale vol.10, n.1, 2013, pagg. 7-8
Prevenzione della morte improvvisa da sport:
protezionismo statale all’italiana o liberismo all’americana?
Pietro
Delise, U.O. di Cardiologia Ospedale di Conegliano
In Italia dal 1971 la Legge prevede che la tutela della
salute dello sportivo agonista sia garantita dallo Stato. Come conseguenza
l’idoneita’ allo sport e’ condizionata dalla emissione di un certificato da
parte di un medico specialista in Medicina dello Sport. Il certificato e’
obbligatorio dopo i 12 anni e per tutte le discipline che rientrano nelle
Federazioni Sportive affiliate al CONI.
Il comportamento del medico dello Sport, e del cardiologo che generalmente lo
affianca, e’ guidato da precisi
protocolli (COCIS) pubblicati dal 1995 che di fatto costituiscono un vincolo
anche dal punto di vista medico-legale.
Negli
Stati Uniti esistono delle linee guida analoghe alle nostre (Bethesda
Conference) che hanno una funzione di indirizzo ma non sono vincolanti perche’
la certificazione medica non e’ richiesta e
di fatto ogni sportivo e’ libero di fare quello che crede senza
condizionamenti assoluti.
Da
cosa dipendono queste differenze?
Il motivo principale e’ che gli statunitensi mettono
al centro del sistema l’individuo la cui liberta’ di scelta e l’autodeterminazione
sono considerate un diritto irrinunciabile.
In Italia la prospettiva e’ diversa. Mentre al singolo
cittadino non e’ vietato di fare liberamente sport nella sua vita privata, le
cose cambiano se si tratta di sport agonistico. In Italia infatti lo sport
agonistico viene espletato all’interno delle
Federazioni affiliate al CONI ed e’ considerato un evento pubblico, e come tale soggetto a una regolamentazione.
In tema di salute, la
regolamentazione ha sia lo scopo di
proteggere lo sportivo da eventi dannosi per esso stesso sia di evitare
spettacoli emotivamente devastanti come la morte improvvisa o l’arresto
cardiaco durante le competizioni ufficiali.
I due approcci hanno pro e contro.
Il piu’ significativo “pro” del modello americano e’ quello
filosofico della liberta’ di autodeterminazione. Lampert in un recente lavoro
sullo sport nei portatori di ICD (riportato in questo stesso numero della
rivista) lo dice chiaramente: “i giovani con ICD soffrono il fatto di non
sentirsi piu’ normali e la restrizione dello sport ne riduce la qualita’ della
vita molto piu’ dell’esperienza dello shock. Solo il paziente puo’ stabilire cosa e’ meglio per se stesso”.
Il
piu’ rilevante “pro” del modello italiano e’ che tutti gli atleti agonisti
passano il setaccio dello screening che e’ in grado di svelare le malattie piu’
insidiose (come le cardiomiopatie e le malattie dei canali ionici) che spesso
non danno sintomi o limitazioni fisiche prima di provocare la morte improvvisa.
Il piu’ importante “contro” del modello americano e’ che
in assenza di uno screening obbligatorio diversi cardiopatici gareggiano senza
sapere di esserlo. O, ancora peggio, cardiopatici noti mettono a repentaglio la
propria vita in manifestazioni pubbliche.
L’obiezione degli americani su questo punto e’ che,
malgrado i presupposti teorici,
l’incidenza di morte improvvisa negli Stati Uniti non sarebbe maggiore
che in Italia, ma i dati sono troppo poco attendibili per giungere a
conclusioni definitive.
Il
piu’ importante “contro” del modello italiano e’ il rischio della medicina
difensiva. Infatti il medico sportivo ha una responsabilita’ legale e
istintivamente tende a difendersi, dato il proliferare di cause penali e civili contro i medici e i
cardiologi dello sport. Ne deriva la
possibilita’ che alcuni medici possano avere un atteggiamento eccessivamente
protettivo non tanto dello sportivo ma di se stessi.
E’
difficile dire quale modello sia migliore. Una cosa e’ pero’ certa: come emerge
dalla letteratura (compreso il lavoro di V. Castelli pubblicato in questo
numero della rivista) nel nostro Paese la morte improvvisa colpisce raramente
gli sportivi iscritti alle federazioni, specie se di alto livello. La
maggioranza delle tragedie avvengono negli sportivi di minor livello impegnati
in manifestazioni dilettantistiche. Ed e’ soprattutto in questo settore dove
c’e’ bisogno di intervenire attraverso campagne informative e l’induzione di
una cultura della prevenzione su base individuale non necessariamente
finanziata dallo Stato.
Vol.9, n.2
L’elettrocardiogramma dell’atleta sano
L’elettrocardiogramma dell’atleta sano
Pietro Delise
In passato, per anni, si e’ diffuso il luogo comune
che l’elettrocardiogramma dell’atleta fosse molto diverso dal sedentario come
conseguenza del rimodellamento cardiaco indotto dall’attivita’ fisica intensa
(cuore d’atleta). Venivano accettate come fisiologiche anche alterazioni
vistose del QRS e dell’ST-T che in un
soggetto non dedito allo sport
sarebbero state classificate come chiaramente patologiche. Di tale opinione rimangono alcuni autori statunitensi
(1), che per tale motivo sostengono che
l’ECG e’ poco utile nello screening degli atleti, a causa di un numero elevato
di falsi positivi. Cioe’ di alterazioni di soggetti con ECG anomalo
indistinguibile da quello di diverse cardiopatie.
Su questo punto si e’ aperto un dibattito
internazionale che tuttora continua.
Infatti molti lavori sostengono il contrario e cioe’
che l’ECG dell’atleta puo’ avere delle alterazioni fisiologiche che lo
distinguono da quello del sedentario, ma che le alterazioni piu’ eclatanti sono
rare e spesso legate a una patologia latente o manifesta.
In particolare alcuni lavori italiani (2,3) hanno dimostrato che nella maggioranza dei casi l’ ECG dell’atleta non e’ sostanzialmente diverso da quello del sedentario. Negli altri casi invece esistono alterazioni classificabili in due categorie :
1) Gruppo 1 (comuni): bradicardia sinusale, BAV I°
grado, BBD incompleto o notch sul QRS in V1, ripolarizzazione precoce e incremento isolato dei voltaggi del QRS ;
2) Gruppo 2 (non comuni, <5%): inversioni delle onde T, sottoslivellamento del tratto
ST, onde Q patologiche, dilatazione dell’atrio sx, deviazione assile sx/EAS,
deviazione assiale dx/EPS, ipertrofia Vdx, QT lungo o corto, alterazioni tipo
Brugada, tachicardie ventricolari, BBD o BBS completo . La prevalenza di queste
alterazioni e’ riportata nella tabella 1.
Tabella 1. Prevalenza delle alterazioni ecg
nell’atleta riscontrate allo screening pre-agonistico.
n.
|
Prevalenza
|
|
Totale popolazione sottoposta a screening
|
32652
|
100 %
|
n. atleti con alterazioni ecg (tipo 1 e tipo 2)
|
3853
|
11.8 %
|
Alterazioni aspecifiche: BAV di I° grado, rSr’ in V1, ripolarizzazione precoce
|
2280
|
7 %
|
Aumento di voltaggio del QRS
|
247
|
0.8
%
|
BBD
|
351
|
1
%
|
EAS
|
162
|
0.5
%
|
BBS
|
19
|
0.1 %
|
WPW
|
42
|
0.1 %
|
T neg.ve precordiali (oltre V1) e/o periferiche
|
751
|
2.3 %
|
QT lungo
|
1
|
0.003 %
|
Le alterazioni del gruppo 1 si osservano soprattutto negli sportivi che praticano sport aerobici ad alta intensita’ e in genere non sono fonte di dubbi diagnostici. Fa eccezione la ripolarizzazione precoce nelle derivazioni infero-laterali quando si associa a un notch terminale del QRS o a un’onda J. Di questo problema si parla in questo stesso numero del giornale, cui si rimanda.
I problemi maggiori si presentano invece per le
alterazioni del gruppo 2 che possono essere varianti normali o al contrario
legate a patologie anche gravi.
Un esempio e’ rappresentato dalle onde T negative
nelle derivazioni precordiali . Per anni si e’ ritenuto che la T negativa nelle
derivazioni V1-V4 fosse un rilievo comune e di regola benigno nel giovane
(juvenile pattern). Studi piu’ recenti (4) sembrano dimostrare al contrario
che l’inversione dell’onda T nelle
derivazioni V1-V2 estese o meno a V3-V4
, mentre e’ comune nel bambino in eta’ prepubere e’ invece molto rara dopo i 14 anni dopo lo sviluppo.
L’inversione dell’onda T nelle derivazioni V4-V6 e/o nelle derivazioni
periferiche e’ ancora piu’ rara.
In tutti questi casi le alterazioni ECG possono
essere legate a cardiomiopatie come la malattia aritmogena del ventricolo
destro, la cardiomiopatia ipertrofica ecc.
Essendo la malattia evolutiva in ambedue le
condizioni, la diagnosi puo’ essere difficile sia perche’ la malattia puo’
essere fenotipicamente in fase iniziale,
e dare alterazioni morfofunzionali modeste, sia perche’ le alterazioni ECG possono addirittura precedere nel
tempo le alterazioni anatomiche che possono inizialmente mancare del tutto
nelle metodiche di imaging . Ad esempio A. Pelliccia e coll. in uno studio
prospettico eseguito in 81 atleti sani
con alterazioni vistose dell’onda (T negativa in 3 o piu’ derivazioni) ha dimostrato che a
distanza in media di 9 anni circa il
13% sviluppa una cardiomiopatia o altre patologie cardiologiche.
Infine un problema rilevante ed emergente e’
costituito dalle alterazioni a volte eclatanti che si possono osservare negli
atleti di colore nei quali la diagnosi differenziale con le alterazioni
patologiche puo’ essere difficile se non impossibile. Il problema e’ stato
sollevato diversi anni fa da Nagalski e coll che hanno dimostrato che esiste
una differenza razziale tra bianchi e neri per cui gli atleti neri sani
presentano in circa il 30% dei casi alterazioni dell’ST e dell’onda T che
simulano una cardiopatia inesistente.
Per
fare il punto su questi problemi, nelle pagine che seguiranno abbiamo riportato
la sintesi di alcuni lavori recenti che affrontano il tema della diagnosi
differenziale tra alterazioni normali e patologiche nell’ecg dell’atleta.
BIBLIOGRAFIA
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Corrado D, Pellicia A,
Bjornstad HH, Vanhees L, Biffi A, Borjesson M, Panhuyzen-Goedkoop N,
Deligiannis A, Solberg E, Dugmore D, Mellwing KP, assanelli D, Delise P, van
Buuren F, Anastasakis A, Heidbuchel H, Hoffmann E, Faghard R, Priori SG, Basso
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